Un Piano Nazionale per l’Occupazione femminile per rimettere al centro dell’Agenda politica del Paese il lavoro e ripartire dal lavoro delle donne. Una proposta già avanzata nel recente passato – a margine della prima emergenza COVID-19, che ha travolto le economie degli Stati – e che deve rappresentare una priorità per l’Italia e i nostri decisori politici. Oggi più che mai è importante ribadirlo, perché nessuno resti indietro.
I dati sull’occupazione diffusi dall’ISTAT il 1° febbraio 2021 e riferiti al mese di dicembre 2020 sono impietosi e segnano un calo vertiginosodell’occupazione femminile.
Nel dettaglio a fronte di un trend positivo nei mesi compresi tra luglio e novembre – e che aveva segnato un recupero di 220 mila occupati – nel mese di dicembre si è registrata una diminuzione dell’occupazione che ha coinvolto tutte le categorie e i settori.
L’impatto sulle donne è stato significativo.
Per queste ultime il tasso di occupazione è calato di -0,5 punti (laddove per gli uomini si assiste ad una stabilità) in parallelo alla crescita del tasso di inattività, pari al +0,4 punti mentre l’andamento della disoccupazione cresce di 0,3 punti per le donne a fronte di 0,1 punti per gli uomini.
Anche i tassi di genere annui rilevano un andamento che vede le donne penalizzate con una occupazione che cala di 1,4 punti e con una crescita esponenziale della inattività che segna un +2,0 punti contro l’aumento di +0,9 punti degli uomini.
Non va meglio per quel che riguarda i dati forniti dall’INAIL che nel Dossier Donne 2021 (redatto in occasione della giornata internazionale dell’8 marzo) – e relativamente al periodo dell’emergenza COVID-19, e quindi nell’ultimo anno – mettono in luce una crescita dei contagi proprio tra le donne se si considera che su 147.875 denunce pervenute all’Istituto (alla data del 31 gennaio del 2021) ben 102.942 sono femminili rappresentando, in termini relativi, circa 70 contagi professionali ogni 100.
I settori nei quali l’incidenza è maggiore sono quelli legati alla sanità, ai servizi e all’industria dove è maggiore la componente femminile, in termini di forza lavoro.
Rispetto alla sanità, che è stata interessata in maniera massiccia dall’emergenza pandemica, le figure professionali più colpite sono state le infermiere, pari all’81,1% dei casi della categoria, le operatrici socio assistenziali che rappresentano il 78,4% dei casi e le operatrici sociosanitarie, con una percentuale pari 22,4 dei casi, per citare alcuni dati.
Tornando ai numeri sull’occupazione l’indagine Ipsos per WeWorld, La condizione economica femminile in epoca di Covid-19, evidenzia, anch’essa, un trend in negativo del lavoro delle donne preso atto che una su due nell’ultimo anno ha assistito ad un peggioramento della propria situazione economica.
Non va meglio per le occupate se si considera che una su due teme di perdere il lavoro; sino alla situazione delle donne disoccupate in cui una su quattro dichiara che a causa del COVID-19 ha rinunciato a cercare un’occupazione.
Un dato, quello del peggioramento delle condizioni economiche, che cresce in maniera esponenziale e supera addirittura il 60% nella fascia di età 25-34 anni, vale a dire sei donne su dieci.
Nel complesso le più colpite sono le donne non occupate con figli le quali durante la pandemia hanno visto una riduzione di almeno del 20% delle proprie entrate economiche, e le madri rispetto ai carichi di cura dei figli e dei genitori, le cd. donne sandwich.
Una pandemia, quindi, che impatta non solo sul sistema sanitario fortemente provato, ma che porta con sé conseguenze di natura economica, finanziaria e sociale.
E’ evidente quanto sia necessario mettere in campo, subito e senza attendere altro tempo, azioni immediate per la tutela del lavoro, soprattutto delle donne che, come i giovani, partono da condizioni di svantaggio nell’attuale mercato del lavoro come rilevato anche a livello europeo, a cui, per le prime, si aggiunge anche il fattore legato alla questione dei differenziali di genere.
In generale un fenomeno importante da evidenziare rispetto ai dati è la presenza di “indiretti” differenziali retributivi di genere.
In pratica a livello legislativo e contrattuale la tutela per le donne e gli uomini non cambia: stessa retribuzione per stesso lavoro perché il riferimento è la contrattazione collettiva.
I fattori che incidono sono altri e legati anche alla parte variabile della retribuzione: le donne dichiarano con minore frequenza degli uomini di beneficiare delle voci salariali accessorie, come ad esempio gli straordinari.
Allo stesso modo le donne vivono una discontinuità legata alla maternità e avendo buona parte dei carichi di cura (non solo della prole ma anche dei familiari più anziani) sono quelle che chiedono con più frequenza dei permessi.
Tutto ciò incide, nel lungo periodo, anche sulla loro carriera.
Occorre, quindi, accendere i riflettori sugli strumenti più idonei, volti a colmare il c.d. gender pay gap determinato da un complesso di fattori sociali e culturalitra loro correlati, oltre a radicati stereotipi.
Secondo il Rapporto Global Gender Gap Report 2020 del World Economic Forum (WEF) che include il Global Gender Gap Index – un indice utilizzato per esprimere con un valore la disparità di genere e che tiene conto di 14 indicatori – nel complesso permangono delle differenze salariali rilevanti di guadagno orario lordo tra uomini e donne.
Nella graduatoria mondiale (del citato Rapporto), tra gli Stati che perseguono la concreta realizzazione del principio della parità retributiva, l’Italia è passata dal settantesimo al settantaseiesimo posto.
Il Piano Colao presentato l’8 giugno 2020 nei suoi 100 progetti per la ripartenza dell’Italia dedica va ampio spazio al tema delle donne, alla presenza nei board, alla necessità di superare gli stereotipi di genere, alle azioni per favorire e promuovere le STEM, passando attraverso interventi sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e sul sostegno alla genitorialità.
Serve, tuttavia, un bussola e una Strategia Nazionale per tornare ad incidere con maggior vigore sulla promozione delle politiche del lavoro, di uguaglianza, di pari opportunità nei luoghi di lavoro nonché sui differenziali retributivi.
Un Piano che in ascolto dei territori agisca nel solco di una programmazione e di una advocacy sotto la guida della Presidenza del Consiglio dei Ministri e che miri a porre in essere azioni puntuali e concrete in una visione coordinata e condivisa con le parti sociali e con le Regioni, anche con il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni.
Ciò sul presupposto di una azione sinergica e di una Cabina di Regia che veda come parte attiva il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con il supporto dell’Ufficio della Consigliera Nazionale di Parità, in dialogo con tutti i Ministeri a partire, per citarne solo alcuni, dal MISE – per la programmazione di incentivi anche a fondo perduto per l’imprenditoria femminile in settori strategici e della green, silver e blue economy – al MIUR e il Ministero dell’Università e della Ricerca per porre in essere azioni mirate sul fronte delle STEM e della ricerca scientifica.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che rappresenta uno strumento di programmazione delle risorse europee provenienti dal fondo Next Generation EU e messe a disposizione degli Stati, attraverso erogazione di risorse a fondo perduto e sotto forma di prestiti a condizioni privilegiate, oggi è l’ultima possibilità che abbiamo per agire concretamente e ridurre il divario dell’Italia rispetto agli altri Paesi.
La parola d’ordine è “correre” e rimettere il tema dell’occupazione femminile al centro dell’Agenda politica con una programmazione che tenga presente le differenze di genere e consenta di lavorare non solo sui dati disaggregati per genere ed età e per diversi settori ma anche alla costruzione e implementazione di indicatori di genere da utilizzare quali parametri di riferimento, sul modello di quanto fatto già in nuce da ISTAT e CNEL nel Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile.
Roberta Caragnano
Avvocata e Ricercatrice di diritto del lavoro e delle relazioni industriali