Per 38 anni il mio mondo è stato la Scuola, da docente di Filosofia prima e dal 1990 fino al 2008 come responsabile provinciale, regionale e nazionale presso il MPI (o MIUR) di importanti progetti formativi. Ho perciò seguito le tante riforme della scuola, piccole e grandi, determinate spesso da un cambio di governo e, di solito, a costo quasi zero. Ci siamo, perciò, trascinati in questi decenni le criticità della scuola, ma abbiamo anche osservato le tante belle esperienze e buone pratiche di cui sarà necessario fare tesoro se vogliamo davvero che questa crisi sanitaria possa trasformarsi in opportunità a partire dalle bambine e dai bambini. La pandemia ha, certamente, aggravato la situazione del sistema d’istruzione italiano, caratterizzata da problemi strutturali come i bassi livelli nelle competenze di base, pochi laureati e laureate (soprattutto nelle STEM), una scarsa disponibilità di opportunità di formazione tecnica, oltre al problema dell’alto tasso di NEET, vale a dire di giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione, legato anche agli scarsi investimenti in orientamento. Ma il sistema di Istruzione è anche caratterizzato da altre criticità, come la formazione e il reclutamento del corpo docente italiano, l’edilizia scolastica, spesso obsoleta e poco sostenibile, e da divari importanti: il divario territoriale e quello di genere resi molto evidente dalla crisi pandemica che ha costretto tanti ragazzi/e a rimanere in casa potendo usufruire solo della DAD (l’Italia è stato il Paese che ha utilizzato maggiormente la DAD soprattutto in alcune zone del Paese), un sistema che non è stato per nulla equo sia sul piano dei bisogni educativi sia sul piano economico-sociale sia sul piano delle differenze tra sud e nord per infrastrutturazione digitale. Il Trentino Alto Adige, il Veneto e il Lazio sono, infatti, le regioni con la percentuale più elevata di famiglie dotate di connessione a banda larga. I divari si riscontrano anche tra comuni di diversa ampiezza demografica: nelle aree metropolitane i tassi di accesso alla banda larga raggiungono il 78,1% mentre nei comuni fino a 2mila abitanti tale quota scende al 68,0%. La Puglia e la Calabria sono le regioni con la quota più bassa di utenti connessi a internet (rispettivamente il 59,7% e il 60,1%). In generale nel Centro-Nord il 70,6% della popolazione ha una connessione a banda larga, contro il 62,5% del Mezzogiorno. Inoltre, l’uso di Internet è caratterizzato da un divario di genere a favore degli uomini: il 71,7% contro il 64,2% delle donne.
“La percentuale di ragazzi che non ha né un computer né un tablet a casa raggiunge nel Mezzogiorno il 19 per cento (a fronte di un 7,5 per cento nel Nord e 10,9 per cento nel Centro), e aumenta al decrescere del livello di istruzione dei genitori, arrivando al 25,6 per cento se nessuno dei due è andato oltre la scuola dell’obbligo. Lo svantaggio territoriale aumenta se combinato con quello in termini di status socio-economico: oltre un terzo dei ragazzi che vivono nel Mezzogiorno in famiglie con basso livello di istruzione, infatti, non ha un computer o tablet a casa, mentre la stessa percentuale scende al 3,5 per cento quando almeno uno dei due genitori è laureato, il divario per istruzione è più contenuto nelle altre aree del Paese.”
Infine, i divari tra territori sono particolarmente marcati nella dimensione educativa per i bambini e le bambine, con picchi di dispersione scolastica che sfiorano il 20% in alcune Regioni del Sud (contro il 10,6% della media europea). Certo la ricerca ci restituisce un dato positivo: il divario di genere nell’istruzione si è progressivamente ridotto nell’arco dei decenni, fino a cambiare segno: oggi le donne tendono ad essere più scolarizzate degli uomini; è meno probabile che abbandonino precocemente gli studi e che ripetano l’anno scolastico; inoltre raggiungono più spesso della media un’istruzione di livello terziario, universitario o superiore. Anche in questo caso, però, la crescita ha avuto un andamento molto differenziato tra le diverse aree del paese. Tra 2004 e 2017 la percentuale di donne con diploma o laurea è cresciuta di 16 punti al nord, di 15,4 nel centro, mentre al sud si registra una crescita più contenuta (+11,5 punti). In Calabria le donne con almeno il diploma sono aumentate meno di 9 punti (dal 46,4 al 55,3%). In Sicilia e in Puglia l’aumento è stato di poco più di 10 punti, dato che le pone agli ultimi posti nella classifica 2017, con appena la metà di donne diplomate o laureate. Dunque tante le criticità, ma anche la speranza che davvero il PNRR, che dovrebbe disegnare l’Italia di domani, può investire in Istruzione e Formazione in quelli che oggi sono i bambini e le bambine. Non è casuale che già fin dalla premessa alla Missione 4 (Istruzione e Ricerca) del PNRR il Presidente Draghi abbia citato uno dei dati più allarmanti per l’Italia, ovvero il triste primato tra i Paesi dell’Unione Europea per tasso di giovani tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione (NEET). Non solo, le Country Specific Reccomendations (CSR) rivolte dalla Commissione Europea ai singoli Stati membri hanno richiesto all’Italia di “migliorare i risultati scolastici, anche mediante investimenti mirati, e promuovere il miglioramento delle competenze, in particolare rafforzando le competenze digitali” e di “rafforzare l’apprendimento a distanza e il miglioramento delle competenze, comprese quelle digitali”. Senza dubbio, la missione dedicata a Istruzione e Ricerca è stata oggetto, fin dal primo momento, di una significativa attenzione nel processo di revisione e rafforzamento, infatti il nuovo Piano da 222 miliardi di euro ha destinato 31 miliardi di euro a tali ambiti, e cioè circa il 17% del totale delle risorse che saranno impiegate. È, dunque, di forte impatto simbolico che la recente conferenza stampa del Presidente Draghi, al termine della 1a cabina di regia sul PNRR, si sia tenuta su Istruzione, Formazione e Ricerca, insieme al Ministro Bianchi e alla Ministra Messa. La scelta ha così messo al centro i giovani che sono il futuro del paese insieme alle donne, rispettando, così i due impegni del piano che sono: osservare la priorità di genere e le priorità territoriali. La missione 4, per ciò che concerne l’Istruzione, si basa su una strategia che poggia sui seguenti obiettivi:
• Miglioramento qualitativo e ampliamento quantitativo
dei servizi di istruzione e formazione;
• Miglioramento dei processi di reclutamento e di
formazione degli insegnanti;
• Ampliamento delle competenze e potenziamento delle
infrastrutture scolastiche.
Con riferimento agli investimenti, il Ministero dell’Istruzione procederà all’assegnazione di risorse per oltre 17 miliardi, ripartiti nelle due grandi aree delle infrastrutture (fisiche e digitali) e del potenziamento delle competenze. Innanzitutto con alcune riforme importanti. Quella degli istituti tecnico professionali, destinata a colmare un divario del nostro Paese rispetto ai partner europei, strettamente collegata al rafforzamento della capacità di innovazione promosso dal Piano nazionale Industria 4.0. La Riforma del Reclutamento degli insegnanti e della Formazione degli insegnanti e dei dirigenti. In questo caso si prevede, da un lato, di coprire le cattedre disponibili con insegnanti di ruolo e, dall’altro, la creazione di una Scuola di Alta Formazione incaricata di programmare ed erogare la formazione obbligatoria ad insegnanti, dirigenti e personale scolastico. Altri interventi sono previsti per il rafforzamento dell’Orientamento nella scuola secondaria di secondo grado, per accompagnare gli studenti nella scelta di un percorso di formazione adeguato all’inserimento nel mondo del lavoro, Entro la fine di quest’anno, inoltre, il Ministero prevede di pubblicare bandi destinati principalmente ai Comuni in numerose aree di intervento:
– 3 miliardi destinati a nuovi asili nido, aggiuntivi rispetto ai 700 milioni per progetti in essere e 900 milioni in conto corrente per sostenere gli enti nella gestione.
– 800 milioni per la costruzione di scuole nuove, altamente sostenibili e adeguate a una didattica innovativa per gli studenti dei prossimi decenni.
– Oltre 430.000 mq di nuove palestre per valorizzare le competenze legate all’attività motoria e sportiva, nonché aumentare l’offerta formativa oltre l`orario curricolare.
– 400 milioni per la costruzione e riqualificazione degli spazi dedicati alle mense, potente strumento per favorire l’attivazione del tempo pieno e la limitazione della dispersione scolastica.
Nel 2022 saranno, invece, emanati i bandi per i progetti per l’innovazione digitale, il piano di estensione del tempo pieno e il piano per la riduzione dei divari territoriali nella dispersione scolastica.
L’opportunità di intervenire sull’edilizia scolastica potrà anche essere lo stimolo a trasformare gli spazi educativi e favorire una didattica diversa da quella frontale. E, da questo punto di vista, non mancano esperienze e buone pratiche importanti. È chiaro, dunque, che si tratta di finanziamenti importanti, ma non esaustivi per risolvere tutte le criticità del sistema Istruzione. Sarà necessario, perciò, fare sistema ai vari livelli e tra le diverse fonti di finanziamento per costruire, in ciascuna Regione, politiche integrate ed efficaci. Un ottimo esempio, in tal senso, è l’iniziativa della Regione Puglia “Agenda di Genere. Una strategia regionale per la parità di genere in Puglia”, un intervento strategico, articolato e multidisciplinare in grado di affrontare sia l’emergenza in corso, sia di orientare le direttrici dello sviluppo dei prossimi anni, integrando il lavoro dell’Agenda di genere in tutti i percorsi di programmazione e attraversando tutte le aree di policy. L’Agenda individua aree di intervento, obiettivi strategici e obiettivi operativi, tra questi anche l’area dell’Istruzione, Formazione, Lavoro, suggerendo importanti integrazioni di finanziamento. Ci sono, dunque, davvero tutte le premesse perché l’Italia questa volta “metta al centro finalmente i giovani che sono il futuro del paese insieme alle donne” (Presidente Del Consiglio Draghi).

Serenella Molendini 
Presidente Associazione CREIS

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